mercoledì 16 marzo 2011

Camicia Malstirata - Capitolo 1


[...] Te quero, mais nao posso! Me perdoa por destruir o nosso amor. Beijos [...]

poche stringate parole e niente di più, qualche mese fa, in un sms, come suo solito, come ogni volta, da un paio d‘anni a questa parte, da quando il nostro ciclico giocare a rincorrerci ebbe inizio, in attesa…
alla fermata del 78, nella città senza passaggi a livello, di fronte la business school che mi avrebbe potuto dare una marcia in più ma per cui non avevo né i requisiti minimi per l’ammissione al pre-test e né tantomeno avrei potuto permettermi…

poche stringate parole e niente di più, qualche mese fa, in un sms, come suo solito, in piena notte…

c’è che in riserva cognitivo motivazionale trovavo le forze per smattare nell’invio di cv con allegata lettera motivazionale tailor made, quotidiana atomizzante attività…
quasi in apnea, dopo l’ennesima selezione andata male, con l’ansia di rimanere insabbiato oppure spiaggiato del tutto, senza più vele e soprattutto senza vento, nelle sabbie mobili dei career site…

 
inaridito, immobile, insofferente al tempo, alla vita…
incapace di governare, di rispondere costruttivamente allo spirito del tempo, alla crisi, a questo affascinante quanto maledetto 危機 [WEI JI] …
teso nell’attesa, percepivo e temevo la fine di un ciclo, di un moto inerziale, durato un po’ troppo, nonostante tutto, nella città senza passaggi a livello…

C’è che c’è che prima di ogni decisione importante ho un’abitudine un po’ naïf…
Interrogo il Generatore Automatico di Haiku che mi risponde così:

Succhia e poi sputa
Porno-insoddisfazione:
Vite ingoiate…

C’è che c’è che sono qui in questo posto, in cui sono cresciuto e da cui sono stato lontano per la maggior parte del tempo che ho vissuto…
C’è che sono qui a questo tempo, che riprendo lentamente pieno possesso della mia vita, nonostante tutto.
C’è che tempo ne è passato e le ferite dell’anima, fortunatamente, non sanguinano più.
Sono qui, adesso, in questo posto, a questo tempo…
denso, liquido, meridiano, qui è il tempo…

Riprendo lentamente pieno possesso della mia vita, nonostante tutto, nonostante i social network, nonostante non sia ancora riuscito, forse per codardia, più che per timidezza, ad affrontare il contatto con la sabbia bianca e i costoni argillosi della spiaggia delle tartarughe, il mio immaginifico luogo dell’anima in cui circa trent’anni fa, il mio viaggio, Destination Anywhere, cominciò…







La meta è un posticino lontano lontano dove il cielo tetro, cupo, giallogrigio, dei miei sogni finisce e comincia la vita a colori, dove finisce…
La voglia di fuggire dalle fisicità delle aberrazioni pragmatiste dell’utopica socialhousing matteiana, da un Sé destinato a sviluppare un rapporto a-conflittuale col proprio SuperIo… castrato, represso, facilmente indottrinabile, più che suggestionabile...impotente teledipendente afflitto dal senso di accerchiamento nell’affacciarsi alle finestre e vedere solo grigi palazzoni in cemento e poi candele…quelle di un cimitero, quelle della chimica pulita e di un’energia di origine incerta ma che costava solo la bellezza di 1000 lire a quintale…
Amatodiato durissimo non luogo, quartiere ghetto, quasi fantasma, assente dal tuttocittà fino alla fine degli anni’80, dalle pareti esterne donate all’incuria e all’abbandono ma con le porte dalle maniglie d’oro, scrissero su un giornale locale…ma potrei ricordar male…
C’è che i primi colonizzatori furon quelli delle case popolari, poi arrivaron gli operai e le loro e-sistenze perennemente in sospeso, talvolta in sciopero…effimera lotta,  pi la fatia pi lu postu…gli abitanti delle villette e poi gli ex del collegio navale…poi non so più o i ricordi potrebbero esser confusi o rimossi…

E al calar della sera, dai balconi, le urla delle mamme, moderne sirene, a rompere l’incanto dei giochi semplici che i bambini facevan per strada, a far prestare l’attenzione dei bimbi…
Sui contrabbandieri, alle turbine supersilenziate delle loro alfette targate Varese, nel loro ciclico, quotidiano giocare a guardielladri con i finanzieri, a bordo del loro potente magnum V6…

Due mani in tasca, allora.
Le tirò fuori. Ne uscì il vuoto. C’è ch’erano vuote. E come fare?
Costruire!
E se luogo no, allora non luogo.
E creò una baia. E la riempì d’acqua che poi salò.
E costruire ancora e ancora un po’.
Che costruì un vascello, ed in quell’acqua ci navigò…

C’è che la rotta l’ha fatta per anni un coyote asceta, che ha provato a più riprese, non riuscendoci, a portarmi a conoscere il fratellino, per mostrarmi qual era il mio posto…

Homer e il Coyote Cósmico
[http://www.youtube.com/watch?v=iSvbYb7GuNY]


C’è che 111 giorni che sono qui, in questa cucina, in questo silenzio rotto solamente da sporadici scrosci di pioggia, folate di vento e il discontinuo tamburellare delle dita fin troppo scarnificate del mio simbionte, maschera neutra, cappello per pensare, meme che mi permette di sentirmi un po’ più libero, di portare in superficie l’oscurità dei miei mostri in bianco e nero ma dall’anima lisergica…
fino in superficie, fino a sulla pelle, sotto la mia camicia mal stirata, in un total look 3 colori da 99e99, fino alla tastiera e poi alla matrice attiva di questo P66 dal sistema operativo seriamente danneggiato…
come son stati il Capitano Paf, il suo vascello classe navale inesistente Destination Anywhere, in quelli che furon i venti e gli anni del Coyote Project…


E’ quasi l’alba e non ho sonno, non riesco, non posso dormire…
Teso nell’attesa…come un pesce rosso in una vasca di pesci coltello…



Nella stanza accanto, che dormono…mio padre, un ex compagno della sezione di fabbrica Gramsci che non capisce bene cos’è la globalizzazione e il mercato del lavoro al tempo del WEJ JI e s’impalla spesso, dopo 35 anni di fabbrica e vive solo per l’amore della sua vita, mia mamma, una delle tante Betty Dixon, malate di “empatia e di vientu” (così mi dice lei), in questa città di confine…che questa è un’altra storia, però…
C’è che sono suggestionabile e leggo gli oroscopi, soprattutto quello della mia Betty Dixon…che mi fa ridere un po’ e spesso…che tipo l’altro giorno era del tipo

 […] no ti ndi ncaricari…cu ci ti la pigghi? Cu lu vientu?[…]


 
E questa è un’altra storia, nonostante tutto…

Sempre meno preoccupato che lei, Efedrina Milagros, ingorda di pillole dimagranti e telenovelas, regina dei tempisti egoisti, continui a chiamare, quasi come se sapesse… dopo l’ennesimo colloquio andato male, magari, fra due giorni prima e due giorni dopo il ciclo di chemio a cadenza trisettimanale…
ciclicamente fastidiosa, come la risacca del post sbornia...
a non capire, nonostante le parole, le più semplici che posso, che la distanza fra di noi, ormai, non è più solo quella colmabile con un'ora di volo low cost...

colmabile, colmabile, colmabile…mi ripete a telefono, in loop, quasi come ossessionata dalle parole, le più semplici che ho trovato…mentre rilegge il mio messaggio di status dal suo profilo fake, ennesima cosa di cui il marito ignora l’esistenza…

Televisione notturna sullo sfondo
111 giorni che sono qui, in questa realtà…
Manifesta, aumentata, virtuale…
Percepita, assieme al mio simbionte, su questo foglio bianco e retroilluminato…
Reality Show! Margherità farà bene a fidarsi di Nando? Sì? No? 1 Euro!

AAA…
Anaffettivo, Afasico, AnoMICO…
Gli amici lontani solo spazialmente, si fanno sentire e mi sono vicini…
La cura che diviene il centro di ogni mio pensiero e mi restituisce la voglia di sorridere un po’, nonostante tutto…

Siamo angeli dalle ali di cera, sospesi, in conflitto...
...E-sistenze, cenere e sabbia
Infastiditi, indisposti, inariditi dalla luce
Affascinati dall'oscurità...

Le parole di Dj K_All, al Capitano Paf, poco prima di morire…
Queste parole invece sono di…

Camicia Malstirata
camiciamalstirata@gmail.com
BIANCO!




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